L'umanità ai tempi del coronavirus

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C'è un clima sospeso.

Da quando il governo ha chiuso le scuole su tutto il territorio nazionale lo sentiamo tutti di più.

Dovunque si sprecano commenti. Sui svariati gruppi social soprattutto.

Certo l'angoscia si taglia col coltello.

La mente si rifugia nella ricerca del colpevole.

All'inizio fu il paziente 0. Chi è, da dove è venuto, chi avrebbe potuto fermarlo, quanto è stato superficiale?

 

Adesso abbiamo rinunciato a trovare l'untore, ma si sprecano commenti contro le precauzioni prese, o non prese, o prese in ritardo...

La mente vaga, salta da una parte all'altra cercando di dare un senso a quello che sta succedendo.

C'è chi continua ad asserire che si sta inutilmente gonfiando un banale virus, poco più di una banale influenza.

Oggi ho sentito anche un'ipotesi di congiura economica: una specie di necessità dell'economia globale di riportare il tenore della vita al di sotto di alcuni valori.

Qualcuno con lo stesso spirito parla di una specie di programmazione naturale, un contenimento della popolazione mondiale, per qualcuno è segno del divino...

Non è mia intenzione entrare in queste dispute.

 

Mi fermo invece a guardare il funzionamento della mente.

La mente non ce la fa a rimanere nell'incertezza: l'incertezza della causa, l'incertezza del futuro, l'incertezza del come è potuto succedere.

Allora usa quel meccanismo arcaico, che sempre riemerge nei momenti di forte regressione, che è la proiezione e l'identificazione proiettiva.

La mente ne ha bisogno per liberarsi di emozioni, meglio dire di sensazioni, che non trovano un nome.

 

Il problema più grosso non è che questo meccanismo ti svuota, senza la possibilità di riappropriarsi dei propri pensieri.

Anche.

Ma ancor di più il problema è che la società si sgretola: guardiamo all'altro come la causa della nostra angoscia, ci prondiamo nell'immaginare malevole intenzioni, ci immaginiamo che ognuno per salvarsi sarà costretto a passare sul cadavere dell'altro.

 

Perdiamo di vista che invece, come spesso nelle crisi di qualsiasi genere, è l'unione che ci salverà.

Non l'unione fisica, certo.

Ci potrà aiutare sapere che quello che facciamo o non facciamo per ridurre il rischio non è fatto solo per il nostro rischio, ma anche e soprattutto per il rischio di chi è più debole di noi, debole di salute, debole economiamente.

Insomma anche in questo non siamo soli, nel bene e nel male

Dott.ssa Daniela Arborini Psicologa e Psicoterapeuta

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