La solitudine è un vissuto piuttosto comune. Tutti, in un modo o nell'altro, l'abbiamo provata, o cercata, desiderata.
La lingua inglese distingue tra la solitudine come scelta (solitude) e la solitudine come mancanza (loneliness). Il valore che viene dato alla solitudine è anche frutto dei tempi: in questa era molto orientata all'individualismo si parla molto della capacità di star bene da soli come indice di benessere. La pensava un po' così anche Leopardi, che riteneva che la solitudine acuisse il proprio stato d'animo: stavi bene da solo se nel complesso stavi bene con gli altri, mentre potevi soffrirne anche molto se vivevi uno stato di malessere interiore.
La solitudine è una dimensione molto soggettiva e se a volte la desideriamo come via di fuga da una situazione o da una relazione "invadente", in diverse circostanze può essere fonte, o campo, di profonda sofferenza.
L'assenza dell'altro ci costringe ad entrare in contatto con il vuoto che il fallimento della relazione oggettuale genera. Fantasmi anche molto antichi vengono o tornano a farci visita. Timore, ansia, o, inutile negarlo, angoscia riempiono gli spazi lasciati liberi dall'assenza. Assenza di relazione, assenza di contenimento, assenza di contatto....
Ricordiamoci che i fantasmi sono sempre più spaventosi nelle nostre fantasie che nella realtà. Fermiamoci per poter riconoscere che sono parte di noi, non elementi dotati di vita propria.
Sul momento può essere utile rimanere saldamenti legati al presente, evitando che il futuro ci terrorizzi con la sua indefinitezza e il passato ci ammorbi con la sua ineluttabilità. Non è la soluzione, ma è un modo per raccogliere le forze e andare incontro alle nostre paure, cercando di sciogliere quel groviglio di emozioni e di spostamento che ci rendono tanto difficile un pensiero.